LA RIVOLTA DEI PICCOLI COMUNI: IN PROVINCIA DI SIENA 13 SINDACI DICONO NO ALLE FUSIONI PER DECRETO
SIENA – I piccoli comuni non ci stanno. La riforma che prevede l’accorpamento d’ufficio o la fusione d’imperio a seconda di come la si veda, dei comuni al di sotto dei 5.000 abitanti non piace ai sindaci che li amministrano. Dopo il caso di Abetone e Cutigliano fusi nonostante uno dei due comuni (Abetone) al referendum, abbia dato parere negativo, ha scatenato polemiche e reazioni in tutta la Toscana. In provincia di Siena è una piccola rivolta. Dopo una serie di prese di posizione isolate, per lo più di esponenti non legati all’area renziana del Pd, ecco un documento firmato unitariamente da 13 sindaci, dalla Valdelsa alla Valdorcia, dall’Amiata alla Valdichiana. Una rivolta trasversale che vede in prima fila anche sindaci non Pd come Fabrizio Fè di Pienza, Andrea Marchetti di Chianciano Terme e Luigi Vagaggini di Piancastagnaio…Non si tratta quindi di una faida interna al Pd. Ma di un no, quasi univoco, all’accorpamento per decreto.
Qualche firma manca (Sarteano, San Quirico d’Orcia, Murlo, Monticiano), probabilmente per titubanze e perplessità politiche, alla volontà di non cerare dissapori o rotture. Ma il fronte del no, in provincia di Siena, resta ampio e il documento comune è già una prima vittoria di chi si è immediatamente dissociato dalla soluzione-Abetone…
Ecco il testo, con le forme in calce:
MANIFESTO IN DIFESA DEI PICCOLI COMUNI ITALIANI
I piccoli comuni rappresentano la grande maggioranza degli 8.000 comuni italiani. Piccoli rispetto al numero di abitanti delle realtà cittadine e metropolitane, ma spesso grandi sia nella loro estensione geografica, sia in riferimento alle risorse economiche, sociali e culturali che sono conservate nei loro confini.
I nostri padri costituenti, con chiara in mente la lunga tradizione civica dei comuni, inclusero tra i principi fondamentali a cui avrebbero dovuto ispirarsi le politiche della Repubblica il riconoscimento del ruolo delle autonomie locali, attraverso l’adeguamento dei principi e dei metodi della legislazione “alle esigenze dell’autonomia e del decentramento” (art. 5 della Costituzione).
Il Comune è l’elemento centrale di una solida tradizione civica italiana che dal Medioevo giunge fino alla Costituzione repubblicana.
In Italia, più che altrove, i territori locali fondano il loro profilo istituzionale sul Comune, che rappresenta il livello primario della democrazia e della rappresentanza politica.
Specialmente nei piccoli comuni, il Municipio e il Sindaco sono un punto di riferimento insostituibile per i cittadini e simbolicamente il Gonfalone rappresenta un importante riferimento identitario in una società sempre più priva di punti di riferimento collettivi.
In una fase storica come quella che stiamo vivendo, caratterizzata dal progressivo allontanamento dai cittadini dai luoghi decisionali, dall’irruzione dei poteri economico-finanziari nei processi di governo, dal diffondersi di sentimenti diffusi di antipolitica che alimentano i populismi, è necessario un rafforzamento del ruolo dei comuni, cioè l’esatto contrario del loro smantellamento.
Bisogna adoperarsi per il mantenimento di un presidio democratico dentro le comunità locali, per il rispetto e la valorizzazione delle identità locali e per il rilancio del ruolo dei Consigli Comunali come luogo di partecipazione politica.
Dobbiamo sostenere i piccoli comuni nella loro attività di erogazione di quei servizi fondamentali ai cittadini che, per caratteristiche intrinseche, enti di più grandi dimensioni non riuscirebbero a fornire con altrettanta efficacia e puntualità. Un buon governo locale non riproducibile su dimensioni troppo vaste.
Se i piccoli comuni sono in difficoltà dobbiamo aiutarli a vivere, non a morire.
Purtroppo invece il modo in cui oggi molta parte della classe politica italiana affronta il tema delle fusioni dei comuni, proponendone in alcuni casi l’obbligatorietà per legge, in altri promuovendo processi che ne sanciscono l’obbligatorietà di fatto, segna un insostenibile attacco alle autonomie locali ed all’esistenza stessa dei piccoli comuni.
Un attacco condotto sulla base di un approccio contabile-amministrativo che, non solo non tiene conto di altre dimensioni, ma soprattutto non si fonda su alcuna evidenza oggettiva di dati economici e finanziari. I quali dati mostrano come in realtà l’impatto dei costi dei piccoli comuni nella spesa pubblica nazionale sia del tutto marginale, sia in valore assoluto che percentuale. Altri sono i centri di spesa improduttivi nel nostro Paese.
Assistiamo ad analisi fondate solo sul parametro del numero degli abitanti, che impediscono di comprendere come i processi di fusione, soprattutto nelle zone rurali, possano creare, o aggravare, le criticità connesse all’estensione territoriale dei comuni, la cui eccessiva ampiezza incide negativamente sull’efficienza nell’erogazione dei servizi ai cittadini.
Ci troviamo di fronte a proposte che non tengono conto delle profonde differenze tra le aree del Paese, che conta Regioni come la Lombardia con un numero di comuni pari a 1.500 con una media di 6.500 abitanti o il Piemonte con i suoi 1.200 comuni con una media di 3.600 abitanti, ed altre come la Toscana che invece ne conta 279 con una media di 13.450.
Oppure ad attacchi strumentali condotti utilizzando numeri per creare sensazione, facendo ritenere che gli 8.000 comuni italiani, circa uno ogni 7.500 abitanti, siano un’insostenibile anomalia, quando ad esempio la Francia, Stato tradizionalmente centralizzatore, ne ha 36.000, cioè uno ogni 1.700 abitanti, e non si sogna di mettere in discussione l’esistenza dei piccoli Comuni, pur pretendendo un’organizzazione sovracomunale dei servizi.
Le politiche di razionalizzazione devono infatti riguardare la gestione dei servizi comunali, dai quali derivano i costi e dipende l’efficienza dell’azione amministrativa, e non gli organi di rappresentanza politica.
Sui costi dei quali organi politici si alimentano demagogie, nascondendone la loro reale portata, spesso così esigua da configurarli nella sostanza come un’attività condotta localmente per mero spirito di volontariato.
Le necessarie e improrogabili politiche di razionalizzazione, valorizzazione e coordinamento di territori e comunità debbano essere perseguite, con convinzione e determinazione, utilizzando gli strumenti delle associazioni dei servizi, attraverso convenzioni e soprattutto nelle Unioni dei Comuni.
Le unioni e le convenzioni vanno considerati un modello istituzionale stabile – non qualcosa di propedeutico alla fusione – e devono assicurare servizi efficienti con minori costi. Laddove non si raggiungano questi obiettivi ciò non può essere pretestuosamente imputato al modello associativo in quanto tale, ma semmai alla mancanza di convinzione negli Amministratori o alla inadeguatezza delle relative previsioni normative nazionali e regionali, e non può dunque costituire un alibi per invocare fusioni.
Le fusioni tra comuni, invece, devono essere portate avanti solo dove esista una chiara, inequivocabile ed esplicita volontà, espressa direttamente dalle singole popolazioni interessate, conseguente a situazioni di reale marginalità abitativa e ad una riconosciuta perdita di coesione sociale e del senso di comunità.
3 febbraio 2016
Firmato
Piero Pii, Sindaco del Comune di Casole d’Elsa
Claudio Galletti, Sindaco del Comune di Castiglione d’Orcia
Eva Barbanera, Sindaco del Comune di Cetona
Andrea Marchetti, Sindaco del Comune di Chianciano Terme
Luciana Bartaletti, Sindaco del Comune di Chiusdino
Raffaella Senesi, Sindaco del Comune di Monteriggioni
Luigi Vagaggini, Sindaco del Comune di Piancastagnaio
Fabrizio Fè, Sindaco del Comune di Pienza
Francesco Fabbrizzi, Sindaco del Comune di Radicofani
Emiliano Bravi, Sindaco del Comune di Radicondoli
Paolo Morelli, Sindaco del Comune di San Casciano dei Bagni
Giacomo Bassi, Sindaco del Comune di San Gimignano
Roberto Machetti, Sindaco del Comune di Trequanda
Fusioni: I piccoli comuni no ci stanno. https://t.co/eaIXLWc1iQ
E basta con l’Italia delle contraddizioni.Le riforme strutturali in atto non possono e non devono fermarsi.Chi,ancora, non ha capito che l’elefantiasi ammministazione pubblica sta soffocando il nostro paese mente
sapendo di mentire.Le tradizioni territoriali non si difendono con gli stemmi e le corone ma con la cultura, gli usi e le consuetitudini popolari che sono i punti di forza di ogni Stato sovrano. Senza un radicale e concreto cambiamento sia in termini strutturali organizzativi, sia dal punto vista comportamentale e di partecipazione attiva, siamo destinati al fallimento. E’ tempo di agire in ogni senso per ridare forza e fiducia alle NS idee. Ce la possiamo fare,basta volerlo.Pierino re
Re Pierino, quali sono LE VOSTRE Idee ? Si è capito poco dal suo intervento.Sono d’accordo che è necessaria la cultura del cambiamento, ma se si perde ciò che stà alla base e che è quello di una politica diversa soprattutto verso il lavoro, tutto il resto in negativo viene dietro. Anch’io sono per l’eliminazione del campanilismo sottoculturale perchè quello dà poco o nulla alle popolazioni anzi è un freno. ma le riforme che dice lei sono tali perchè partorite in assenza della partecipazione della popolazione e soprattutto partorite da un ceto politico che ha venduto fumo per andare a guidare la nave ed ancora oggi grazie all’ignavia di chi ce lo ha spedito a comandare, si allea con le parti anche opposte pur di rimanere in sella e modifica la realtà raccontando favole, alle quali i sudditi credono.La popolazione ritiene che quando abbia espresso il voto per un partito abbia fatto il proprio dovere.Non è così, quello dovrebbe essere solo l’inizio.L’Italia sconta ancora oggi di essere un paese in regressione.La voce grossa di Renzi verso l’Europa è un bluff.Lui lo sa bene che non può farla perchè ha accettato i vincoli economici costitutivi di quell’Europa a due velocità, una l’Europa del Nord che per storia e formazione culturale è diversa da noi Italiani l’altra perchè un paese disastrato come lo siamo noi ha bisogno di far entrare nelle tasche della maggior parte della gente le necessarie sostanze per far ripartire i consumi.I Vincoli che sbandierano tanto chi governa sono insuperabili perchè la stampa della moneta da parte dei singoli stati provocherebbe inflazione,che secondo chi comanda è il peggiore nemico.Si ricorda gli anni ’70 Sig.Pierino Re come erano in Italia quando l’inflazione era oltre il 15 percento, chi lavorava se stava meglio all’epoca oppure adesso ? Non è tutto qui il problema certamente, ma il sistema dei tagli impoverisce i cittadini oltre ogni limite e la riparametrazione dei costi( quella a cui accenna lei) è figlia di questa politica. Da una parte di preme sull’acceleratore dall’altra si crede che lo sviluppo avvenga col taglio delle retribuzioni.Nel frattempo ai padroni delle ferriere(Confindustria tanto per essere chiari) il Suo Governo che come sento ed immagino Lei difenda regala 38 miliardi di euro che si sono affrettati con tutta contentezza ad accettare fregandosi le mano..Non sono mica grulli. E’ quell’Italia questa a cui Lei spera che continui tale solfa.Poi sono d’accordo con lei che in un mondo globalizzato il campanilismo andrebbe-secondo me – ”proibito per legge” guardi un po’ come la penso io……la cultura è sì tradizione ma è anche accettazione di quello che stà davanti a noi, integrazione e trasformazione.Ma dicevano i nostri nonni : ”se l’acqua è poca anzi scarseggia, la papera non galleggia”.Ed infatti non galleggia.ma se c’è una colpa la prima di queste è della maggioranza della gente che ha creduto ed eletto quei politici che ci guidano.E come Lei ha detto ”è ora di finirla con l’italia delle contraddizioni” io dico ”è ora di finirla” con la vendita del fumo.